venerdì 27 febbraio 2009

Borgovecchio.

Oscar della volgarità a Berlusconi.

"Io ti ho dato la tua donna". Era rimasta una battuta sussurrata da Silvio Berlusconi a Nicolas Sarkozy in conferenza stampa, durante il vertice italo-francese che si è svolto martedì a Villa Madama. Nessuno, o quasi, era riuscito a carpirla. Il Cavaliere aveva interrotto per qualche secondo il presidente francese mentre stava illustrando i risultati del summit. "Io e Silvio Berlusconi - spiegava in quel momento Sarkozy - abbiamo fatto riconoscere l'omologazione dei diplomi superiori che finora non c'era...". Il premier si era allora avvicinato, pronunciando a bassa voce una frase, che immediatamente Sarkozy aveva liquidato con un sorriso imbarazzato. Il capo dell'Eliseo era tornato frettolosamente al suo discorso ufficiale, tagliando corto: "Non sono sicuro di dover ripetere". La misteriosa battuta ha però suscitato la curiosità dei media francesi. Mercoledì sera la trasmissione serale di Canal +, "Le Grand Journal", ha tradotto il labiale di Berlusconi, ricostruendo le esatte parole. "Moi je t'ai donné la tua donna", avrebbe detto il Cavaliere mischiando le due lingue. L'allusione all'italianità di Carla Bruni come fosse un bene da esportazione non è evidentemente piaciuta a Sarkozy. E neppure ai presentatori francesi che hanno costruito sulla gaffe una serie di ironie, assegnando a Berlusconi "l'Oscar della volgarità". La Bruni, d'altra parte, non aveva nascosto in passato il fastidio per quello che i francesi chiamano "humour déplacé", ironia fuori luogo, del premier. L'8 novembre, dopo che il Cavaliere aveva lodato "l'abbronzatura" di Obama, la first lady aveva confessato la soddisfazione di essere diventata francese". (La Repubblica)

Se questa è giustizia?

"Quello che alcuni temevano arrivasse, altri invece auspicavano, è in questo momento stato aperto: è il fascicolo che imputa di omicidio volontario aggravato 14 persone a cominciare da Beppino Englaro, il papà di Eluana, la donna in stato vegetativo per 17 anni e morta lunedì 9 febbraio. L'imputazione comprende il primario Amato De Monte, un altro medico, tutti gli infermieri che hanno ruotato intorno alle tre stanze della clinica La Quiete di Udine. Forse si tratta di un fascicolo che si apre velocemente e altrettanto velocemente si chiuderà. Una sorta di atto dovuto. Ma secondo indiscrezioni investigative questa nuova indagine partirebbe da una serie di esposti, firmati sia da singoli che da associazioni, che hanno raccontato la storia di Eluana come se fosse la storia di un omicidio. Il fatto che ci sia stata una sentenza della Corte civile d'appello di Milano, confermata dalla Cassazione, e che fosse stato approntato un protocollo per accompagnare gli ultimi giorni di Eluana non ha mai interessato i firmatari di queste denuncie, che in nome della sacralità della vita hanno puntato il dito contro il padre di Eluana. Il procuratore capo Antonio Biancardi, dal momento del trasferimento di Eluana a Udine, ha diretto in prima persona una serie di inchieste. All'inizio aveva addirittura ipotizzato il sequestro della struttura interna alla casa di riposo che aveva accolto la paziente. nei giorni scorsi un altro fascicolo con quattro indagati: due giornalisti, sempre il papaà, sempre il primario, per aver deciso di scattare numerose fotografie di Eluana poco prima della morte (per 140 di questi scatti, ieri la procura di Trieste non ha convalidato il sequestro). Un'iniziativa che aveva sconcertato gli avvocati difensori. E anche ieri, Vittorio Angiolini, il legale milanese degli Englaro, sembrava stupefatto: "Nessuno ci ha avvisato dell'apertura di questo fascicolo per omicidio, sembra un fatto incredibile che si voglia indagare per qualcosa avvenuta alla luce del sole, e peraltro motivata da alcune sentenze. Stiamo a vedere quello che succede, secondo me diventerà sempre più urgente denunciare per calunnia chi ha diffuso false notizie sul conto della famiglia Englaro".
L'interruzione dell'alimentazione forzata diventa quindi una possibile spiegazione del reato. Come si sa, non nutrire più Eluana era stato considerato da medici e giudici il modo migliore per "lasciare riprendere il percorso naturale della morte" interrotto il giorno dell'incidente stradale, il 18 gennaio 1992, e mai più riavviato dopo la rianimazione, incapace di rianimare davvero. Questo procedimento che aveva anche l'avallo del professor Giandomenico Borasio, professore palliativista dell'Università di Monaco di Baviera e consulente della chiesa cattolica tedesca in materia di bioetica, ha diviso l%u2019opinione pubblica. Per la stragrande maggioranza dei medici è il metodo migliore per una morte il meno dolorosa possibile. Per altri si tratta quasi di una tortura. E' forse anche questa spaccatura ad aver spinto la magistratura udinese a volerci vedere più chiaro e solo nei prossimi giorni si capirà se questa indagine può essere considerata come un atto necessario oppure se aprirà nuovi scenari in questa dolorosa vicenda".

giovedì 26 febbraio 2009

Lampioni.

Giustizia è fatta.


"E ora chi lo va a dire ad Agostino Saccà? Per archiviare il procedimento contro il presidente del consiglio e l'ex manager di Rai Fiction, la Procura di Roma è stata costretta a smentire le affermazioni, la filosofia e la stessa ragione di vita del suo indagato. Uno dei pilastri sul quale poggia l'atto che chiede il proscioglimento per Berlusconi e per il manager Rai è infatti la mancanza della qualifica di "incaricato di pubblico servizio" per Saccà (l'altra è la mancanza della prova dello scambio, del do ut des, tra il manager e il premier). Per i pm di Roma Saccà non può essere corrotto, né da Berlusconi né da altri, perché la fiction Rai, il suo regno incontrastato fino al dicembre scorso, non è vero servizio pubblico. Esattamente il contrario di quello che il manager diceva in ogni conferenza stampa o intervista. Quando c'era da presentare l'ennesima soap sull'anoressia o sul a mafia, quando c'erano da difendere gli investimenti miliardari per produrre serie dalla durata sterminata, il manager Rai ha sempre detto con orgoglio: «Questo è il servizio pubblico». Siamo noi, spiegava Saccà ai giornalisti, che abbiamo raccontato agli italiani il romanzo popolare del '900. Siamo noi che abbiamo affrontato le vicende spinose della Seconda guerra mondiale e la storia dei Corleonesi. Saccà rivendicava con fierezza il suo ruolo di civil servant. Proprio quello che i pm romani gli hanno tolto per salvare lui e il premier.
Se la Rai con i suoi sceneggiati facesse servizio pubblico, Saccà sarebbe un incaricato di pubblico servizio soggetto (in caso) ai reati di corruzione e concussione. Per questa ragione i pm per prosciogliere Berlusconi e Saccà sono costretti a "degradare" la sua attività culturale. Per i pm romani solo la fase della trasmissione rientra nel servizio pubblico, non quella della produzione dei contenuti. Saccà quindi è un semplice manager "privato". Alle sue eventuali malefatte si applicano le blande norme riservate ai dirigenti di Mediaset, non quelle rigide che disciplinano l'attività dei capi dei ministeri dell'Anas o dell'Enel. Saccà, dicono i pm, può fare quello che vuole quando sceglie le attrici pagate con il canone degli italiani. Può privilegiare le protette del Cavaliere e sacrificare quelle considerate dagli altri più brave. Non c'è nessun problema. In fondo nessun pm contesterebbe un simile comportamento a Piersilvio Berlusconi e ora, se la giurisprudenza elaborata a Roma prenderà piede, nessuno potrà contestarlo non solo a Saccà ma anche a Fabrizio Del Noce (Rai uno) o Giancarlo Leone (Rai cinema) e così via. Per tenere fuori Berlusconi e Saccà dal ginepraio nel quale si erano cacciati con le loro incaute conversazioni, la Procura di Roma ha fatto davvero i salti mortali. Le cinque paginette dell'archiviazione prontamente distribuite ai cronisti (dovrebbero essere segrete, ma evidentemente a Roma il segreto non tutela le indagini bensì gli indagati eccellenti) cancellano le massime della Cassazione e numerosi pronunciamenti di altri magistrati.
A partire dalla sentenza della Suprema Corte del 1996 sul caso Baudo-Lambertucci-Venier. Quando i presentatori televisivi furono accusati di concussione per i compensi extra richiesti agli sponsor per i loro show, si difesero negando la loro qualifica di incaricati di pubblico servizio. Ma, prima i pm poi i giudici e infine la Cassazione, stabilirono il principio in base al quale al di là della qualifica privata della società Rai e al di là del contratto privato delle star, rileva il fatto che in ballo ci sono soldi pubblici. Una massima che valeva quando si sottraevano risorse pubblicitarie alla Rai facendo la cresta sugli sponsor e a maggior ragione dovrebbe valere oggi con Saccà che - a differenza di Baudo e amici - non maneggia denari privati ma pubblici.La procura di Napoli, forte di questo precedente, ma consapevole della delicatezza della questione, aveva blindato sul punto l'indagine chiedendo addirittura un parere a un luminare del diritto costituzionale, Michela Manetti, professore ordinario a Siena. La professoressa, al termine di un lungo studio della legislazione vigente, aveva concluso che Saccà è un incaricato di pubblico servizio. Da quello che è dato leggere nelle pagine distribuite ai cronisti, la Procura di Roma non ha degnato il parere nemmeno di un cenno.
Anche l'altro pilastro della richiesta si basa su una smentita delle parole di un indagato, che stavolta è Berlusconi. I pm, dopo avere smontato la qualifica pubblica di Saccà, entrano nel merito per sostenere che, anche se Saccà fosse un pubblico ufficiale, il reato non c'è. Il fatto è che, dicono, manca lo scambio, il ''do ut des'', il cosiddetto ''sinallagma corruttivo''. Per la Procura di Napoli Saccà aiutava le attricette amiche di Berlusconi. E il premier prometteva un aiuto futuro nella sua attività di libero imprenditore ma - per i pm romani - il do ut des non è provato. Purtroppo, non è la Procura di Napoli a sostenere che le due cose (la spinta nei cast alle ragazze e l'aiuto a Saccà imprenditore) siano collegate. Lo dice Berlusconi stesso: «Agostino, aiuta Elena Russo perché è come se aiutassi me e io ti contraccambierò quando sarai imprenditore».Parole alle quali Saccà non risponde: «Ma come si permette?», oppure: «Silvio, non ti scomodare, non c'è bisogno che mi aiuti, lo farei lo stesso per i rapporti che ci legano». Alla profferta di Berlusconi, Saccà replica prima ridendo, poi dicendo sì, e infine chiudendo la telefonata con un «grazie presidente». Quella telefonata è stata pubblicata da ''L'espresso'' ed è ancora ascoltabile on line. Eppure per i pm non basta: la promessa è vaga, manca la prova dell'accettazione. E non è dimostrato che ci sia un legame tra l'offerta e la selezione delle attricette. E tanti saluti al ''ti contraccambierò'' pronunciato dal Cavaliere. Quello che è accaduto non ha molti precedenti. Il fascicolo contro Saccà, infatti, non era più segreto e ''L'espresso'' aveva potuto pubblicare gli audio di una dozzina di intercettazioni (tra le oltre 10 mila depositate) perché le indagini erano chiuse con la richiesta di rinvio a giudizio, l'alba del contraddittorio, l'avvio del processo con la sua pubblicità, garanzia di trasparenza e di giustizia. Nella stragrande maggioranza dei casi ? la richiesta di rinvio a giudizio presentata da una procura viene confermata dai pm dell'altro ufficio giudiziario che ricevono gli atti per competenza territoriale. In fondo è una questione di economia e di logica. I pm napoletani conoscono l'inchiesta, hanno diretto per mesi gli uomini della Guardia di Finanza, hanno ascoltato migliaia di intercettazioni, hanno sentito decine di testimoni. La scelta della Procura capitolina ha certamente fatto piacere a Berlusconi che può ora sostenere di essere stato vittima di una persecuzione giudiziaria in salsa partenopea che lo ha inseguito fin nei suoi rapporti più privati ma soprattutto perché la decisione di Roma finalmente sembra mettere la sordina su una selva oscura di intercettazioni che lo preoccupava da mesi. Non a caso nella richiesta di archiviazione si precisa che le trascrizioni e i file audio andranno distrutti, perché irrilevanti. Questa attenzione (prontamente comunicata alla stampa) ha certamente fatto felice Berlusconi più dell'archiviazione in sé.
Anche se i giornali continuano a parlare di corruzione e rinvio a giudizio, quella che si è giocata in questi sei mesi nei palazzi di giustizia di Napoli e Roma è una delicatissima partita a scacchi che non ha avuto come posta il destino dell'indagine ma quello dell'immagine del premier. La storia dell'inchiesta di Napoli, del suo trasferimento a Roma e ora della sua richiesta di archiviazione deve essere raccontata proprio da questo angolo di visuale. L'unico che conta davvero. Tenendo a mente che la posta in gioco di questa partita disperata per il Cavaliere non era l'assoluzione o il rinvio a giudizio ma la pubblicazione delle telefonate o la loro distruzione.Berlusconi ieri si è aggiudicato, grazie alla Procura di Roma, un round molto importante di questa partita ma non ha ancora in tasca la vittoria finale. Proviamo a partire per una volta non dai codici ma dalle bobine. Le intercettazioni del procedimento si distinguono in tre gruppi: le prime sono le 10 mila telefonate dell'utenza di Saccà (circa 8 mila) e del produttore che piazzava le attricette care al premier, Guido De Angelis (circa duemila). Queste e telefonate sono state depositate dai pm di Napoli nel fascicolo principale (quello per il quale ieri è stata resa pubblica la richiesta di archiviazione) e sono dal luglio scorso conosciute dagli italiani grazie a ''L'espresso'' che le ha pubblicate anche in audio.Tra queste ci sono le sette telefonate di Silvio Berlusconi (quattro con Saccà e tre con De Angelis) che tutti possono ascoltare on line dall'estate scorsa. Poi ci sono un gruppo ristretto di telefonate che sono state depositate nel fascicolo sulla compravendita dei senatori del centrosinistra da parte di Berlusconi e Saccà attualmente in attesa della decisione del Gip sulla richiesta di archiviazione della Procura. Infine, e questo è il punto dolente per Berlusconi, esistono decine e decine di telefonate intercettate sulle utenze di due ragazze care a Berlusconi, Evelina Manna ed Elena Russo, nelle quali si sente più volte la voce del presidente del consiglio. E soprattutto si sentono le ragazze discettare con le loro amiche dei loro rapporti con il premier, delle sue promesse, delle loro delusioni che talvolta sconfinano nel risentimento.Una parte di queste telefonate, secondo la Procura di Napoli, avrebbe meritato da parte dei pm di Roma un'attenta analisi per verificare addirittura se non si potesse configurare in capo a Silvio Berlusconi il ruolo di vittima. Questo intreccio malmostoso è sempre stato il lato B dell'indagine. Quello che anche la Procura di Napoli ha cercato di sterilizzare per evitare l'accusa di avere voluto frugare nell'intimità del premier. La Procura di Napoli voleva portare a giudizio Berlusconi perché aveva corrotto Saccà e non perché aveva rapporti con quelle ragazze. I due temi però restavano e restano obiettivamente inseparabili. I pm napoletani Paolo Mancuso e Vincenzo Piscitelli, per tutelare la privacy del presidente, avevano elaborato uno stratagemma che aveva l'indubbio pregio del buon senso ma che non era certamente sorretto da solide basi giuridiche.Le intercettazioni delle ragazze, quelle nelle quali si sentiva la voce di Berlusconi e quelle nelle quali le sue amiche parlavano dei rapporti con il premier, erano state stralciate e posizionate in un fascicolo a parte. Per farne cosa? I pm napoletani avevano rimandato la decisione sul punto al termine dell'inchiesta. Fu allora, nel luglio del 2008, che per la prima volta il destino di queste telefonate e il faticoso iter del disegno di legge Alfano sulle intercettazioni incrociarono le loro strade.
Il presidente del consiglio, dopo la pubblicazione della copertina de ''L'espresso'' (''Pronto Rai'', 26 giugno 2008) sul caso Saccà con l'audio delle prime telefonate (depositate e a disposizione delle parti, non più segrete) teme che anche le altre telefonate possano essere pubblicate. I suoi legali si precipitano a Napoli e alla vigilia dell'uscita del nuovo numero de L'espresso, con i palazzi romani che diffondono la voce di imminenti rivelazioni piccanti sul premier e le sue ragazze, Berlusconi tira giù l'asso: il 3 luglio minaccia un decreto legge per impedire la pubblicazione delle intercettazioni sui giornali.Il presidente del consiglio inoltre annuncia che sarà ospite a Matrix e spiegherà al popolo italiano la sua posizione e le sue misure contro questa barbarie, che per inciso lo riguarda in prima persona. Oggi, con il disegno di legge sulle intercettazioni in votazione, è bene ricordare come nacque in quei giorni la grande voglia del presidente del consiglio di imbavagliare la stampa. In quelle calde giornate di luglio si svolge una partita nascosta alle spalle dei cittadini. La minaccia del premier sortisce effetto. Quando i suoi legali ottengono dalla Procura di Napoli rassicurazioni sulla distruzione delle telefonate ''imbarazzanti'', Silvio Berlusconi allenta la presa sulle norme per le intercettazioni.I pm presentano la richiesta di distruzione delle conversazioni delle ragazze al Gip Luigi Giordano e Mentana resta a bocca asciutta. Silvio Berlusconi non si presenta in tv. Niente decreto, non serve più. Purtroppo però il Gip di Napoli fa saltare la tregua bilaterale. L'8 luglio si dichiara incompetente e non rinvia a Roma solo il fascicolo principale su Saccà ma anche quello ''scottante'' contenente le telefonate delle ragazze. A questo punto il timer del disegno di legge Alfano riprende a ticchettare all'impazzata. E subisce una nuova accelerazione quando la Procura di Roma a novembre del 2008 presenta la richiesta di archiviazione (anche quella segreta e anche quella distribuita alla stampa dalla Procura, solo nella parte meno imbarazzante per Berlusconi) contro Berlusconi e Saccà per il procedimento riguardante la corruzione dei senatori Nino Randazzo e Piero Fuda, eletti con il centrosinistra e corteggiati dal Cavaliere a suon di promesse, di poltrone e altro. Perché Berlusconi entra in ansia quando un altro procedimento si avvia verso la chiusura a suo favore?Il fatto è che nelle carte dell'inchiesta sulla tentata compravendita dei senatori Randazzo e Fuda sono finite le telefonate che documentano i rapporti tra Silvio Berlusconi e una bellissima attrice trentenne che somiglia a Veronica Lario giovane: Evelina Manna. Berlusconi la raccomandava a Saccà e si giustificava dicendo che non lo faceva per sé ma perché aveva in animo di di usarla come moneta di scambio per convincere un senatore del centrosinistra a passare con il Popolo delle Libertà. Secondo i pm quel senatore, nelle parole di Berlusconi, poteva essere Fuda.Teoricamente la povera e inconsapevole Evelina Manna sarebbe stata raccomandata per una particina in Rai ? secondo quello che lo stesso Berlusconi dice nelle telefonate con Saccà - non perché legata al Cavaliere ma perché sarebbe stata lo zuccherino per addolcire il senatore calabrese in bilico. Per smentire questa ricostruzione dei fatti, i pm hanno dovuto accertare i rapporti tra il senatore Fuda e Evelina Manna (inesistenti) ma soprattutto quelli (ben più stretti) tra Berlusconi e la Manna medesima. Nella richiesta di archiviazione depositata a novembre si chiarisce che la Manna era raccomandata perché interessava a Berlusconi, altro che Fuda. Proprio per documentare questa amicizia e per scagionare Berlusconi i pm hanno depositato alcune telefonate con la Manna. E, sarà un caso ma poco dopo la richiesta di archiviazione e l'uscita delle prime indiscrezioni sul suo contenuto, Silvio Berlusconi è rientrato in fibrillazione.''Se pubblicano le mie telefonate'', dichiarava a dicembre sulle prime pagine dei giornali, ''io vado via dall'Italia''. Messaggi precisi agli investigatori che quelle telefonate non avevano ancora distrutto. Infatti i mesi passavano e la Procura di Roma continuava a tenersi questa patata bollente sul tavolo.Che fare? Se il procuratore capo Ferrara avesse inoltrato la richiesta di rinvio a giudizio già formulata a Napoli per Saccà e Berlusconi (evitando così di sconfessare i colleghi), il rischio della pubblicazione sui giornali del materiale ''scottante'' sarebbe stato molto elevato.
La toppa messa dalla Procura di Napoli a tutela della privacy del Cavaliere non era delle più solide. La distruzione delle telefonate tra Silvio Berlusconi e le ragazze era difficile da argomentare. La Procura proprio nel momento in cui chiedeva di processare il presidente del consiglio perché aveva chiesto a Saccà di violare i suoi doveri per fare avere alle sue protette un posto al sole, chiedeva di distruggere le telefonate delle medesime ragazze raccomandate?. Certo, lo scambio corruttivo, come sosteneva la procura di Napoli si perfezionava con la promessa dell'aiuto a Saccà in cambio della spintarella. Certo, non contava nulla - come spiegavano i pm napoletani- la ragione della raccomandazione.Certo, il movente del Cavaliere, la causale del suo afflato doveva restare fuori dal processo. Che lui le raccomandasse (come sosteneva con scarsa convinzione con Saccà) perché avevano il padre malato, perché erano in uno stato di profonda prostrazione, o per altri motivi, ai pm non interessava. Purtroppo però poteva interessare ai giudici. Questa tesi, formulata per stendere un velo sulle motivazioni profonde del Cavaliere, alla fine non reggeva. Nella corruzione il movente non è importante per stabilire se c'è il reato, ma diventa fondamentale per determinare l'entità della pena. Se corrompo un funzionario pubblico per aiutare una ragazza che ha il padre malato avrò diritto a tutte le attenuanti del mondo. Se corrompo un incaricato di pubblico servizio per piazzare la mia amichetta, no. Ecco perché, in caso di richiesta di rinvio a giudizio, il gip avrebbe potuto e forse dovuto ordinare alla Procura di depositare tutte le telefonate dalle quali si poteva evincere il movente della raccomandazione di Silvio Berlusconi.In particolare il velo era sottilissimo e anzi si era già strappato per Evelina Manna. Dei reali rapporti tra questa ragazza e Berlusconi, in fondo i pm romani erano stati costretti ad occuparsi per la vicenda Fuda. Cosa ostava a depositare le sue telefonate per dimostrare il vero movente della corruzione di Berlusconi verso Saccà? Per garantire la distruzione delle telefonate, insomma, non bastava chiedere al Gip il rinvio a giudizio per Saccà-Berlusocni e contestualmente la cancellazione del temibilissimo fascicolo delle ragazze. Solo una richiesta di archiviazione per il fascicolo principale avrebbe permesso di mandare al macero tutto. Ed è esattamente quello che è accaduto. La Procura di Roma ha chiesto di distruggere tutto. Non solo le telefonate delle ragazze.Ma proprio tutte, anche quelle di Saccà con gli altri politici o con i membri del cda della Rai. Anche quelle nelle quali si parla dei contratti da sbloccare per Ida di Benedetto, compagna del membro del cda Rai Giuliano Urbani. Anche quelle nelle quali Saccà si impegna per aiutare la società di produzione del la moglie del capogruppo della Pdl Italo Bocchino. Anche quelle nelle quali Saccà discute con il membro dell'Autorità Garante delle Comunicazioni Giancarlo Innocenzi delle mosse da fare per convincere il senatore del centrosinistra Willer Bordon a lasciare la sua maggioranza.Tutte queste telefonate, che L'espresso aveva segnalato nei suoi articoli, e che avrebbero meritato un attento esame, finiranno al macero. Tutte irrilevanti. L'ennesima dimostrazione di cosa significherà l'applicazione del bavaglio del disegno di legge Alfano (che vieta la pubblicazione degli atti ritenuti irrilevanti dalla Procura) quando si ha a che fare con pm, come quelli romani, così attenti a non pestare i piedi dei potenti.Tutte le vicende scandalose relative alla Rai e all'Autorità Garante delle Comunicazioni agli intrecci perversi tra le attività politiche e aziendali di Saccà e di Innocenzi, raccontate da L'espresso, non sarebbero state mai pubblicate. Gli italiani non ne saprebbero nulla. Per ottenere questo mostro giuridico: l'azzeramento dell'indagine napoletana, la distruzione di tutte le intercettazioni, i pm Colaiocco e Racanelli hanno dovuto sostenere oltre alla mancanza della qualifica di incaricato di pubblico servizio per Saccà (nonostante la Cassazione dicesse il contrario), oltre alla mancanza del ''do ut des'' (nonostante la professione di ''contraccambio'' registrata sul telefono di Berlusconi) anche la mancanza di un atto contrario ai doveri di ufficio. In questo la Procura scavalca a destra anche la Rai, che pure era stata criticata per il suo lassismo.Per l'azienda pubblica Saccà aveva violato i suoi doveri e il codice etico. Per i pm nulla da obiettare.
Secondo i magistrati capitolini l'attività di selezione delle attrici delle fiction non è ''normativizzata''. La discrezionalità in questo campo sembra non trovare alcun limite. «L'assenza di una qualsiasi disciplina relativa all'attività di scelta delle attrici da sottoporre a provino nella produzione di una fiction unitamente all'esito negativo delle segnalazioni rendono incerta la natura dell'atto posto in essere dal Saccà». Pur di salvare Saccà e Berlusconi i pm Colaiocco e Racanelli arrivano a sostenere che le segnalazioni hanno avuto esito negativo, dimenticando il caso della fiction "Incantesimo".Dove la Procura di Napoli aveva provato senza ombra di dubbio che un'attrice raccomandata da Berlusconi aveva preso la parte della povera Sara Zanier, una ragazza considerata più brava e bella da tutti i dirigenti, i produttori e i consulenti. Finché non era arrivata la telefonata da Arcore. Per la Procura di Roma, non c'è nulla di male. La scelta si fa in ''assenza di disciplina''. Se in futuro un alto dirigente volesse selezionare le attrici con in mano la lista delle raccomandate dei politici, sembra di capire che i pm romani non ci troverebbero nulla di male. Questo provvedimento spalanca davanti ai dirigenti della Rai e delle altre aziende privatizzzate una prateria di abusi.Il Giudice per le Indagini Preliminari deve ancora pronunciarsi e potrebbe cancellare l'atto di Colaiocco e Racanelli. Le intercettazioni delle ragazze non possono ancora essere distrutte. Poco male. Il disegno di legge Alfano continua la sua strada. Deborah Bergamini, una parlamentare del Pdl molto vicina a Berlusconi, ha presentato un emendamento che prevede la galera per chiunque pubblichi le telefonate irrilevanti (secondo la Procura, non secondo il giudizio dei giornalisti e dell'opinione pubblica). Proprio come quelle che non fanno dormire Berlusconi. (Marco Lillo-L'espresso)

Muore la sorella di Berlusconi. E chi se ne frega.

Ieri tutti i tg e oggi tutti i giornali hanno dato in prima pagina la notizia della morte della sorella del nostro premier. Prima d'ora non avevo mai letto con tale rilievo nell'informazione italiana la notizia della morte di un parente di un nostro politico, nemmeno del presidente della repubblica. Probabilmente è circolata una velina ministeriale del solito Bonaiuti che ha obbligato a passare in pompa magna questa notizia, o alcuni premurosi giornalisti del giorno d'oggi - ce ne sono molti - hanno pensato bene che passare questa importante informazione li avrebbe agevolati nella loro carriera di velinari. Con tutto rispetto dper chi chi muore, a me non importa un fico secco che la sorella del primo ministro sia passata a miglior vita e non vedo perché debba importarmene.

Marina beach.


Ivorian house


La tv spazzatura.

"Trovo disgustosi i programmi televisivi che fingono di prendersi cura dei partecipanti per manipolare le loro vite e assicurarsi il successo". Eva Mendes, 34 anni, di Miami, genitori cubani, bellezza latina, alle forme esplosive unisce un'intelligenza svelta e vivace. Dopo molti film da attrice, debutta come produttrice (ma ne è anche protagonista) con Live! Ascolti record al primo colpo, presentato questa mattina a Roma e in uscita nelle sale il prossimo 6 marzo, in circa 140 copie, distribuito da Moviemax. Nel film la Mendes interpreta un'ambiziosa produttrice tv che nella corsa al successo finisce per concepire il più estremo dei format: una roulette russa, stile Il cacciatore, servita in prima serata. In palio, tra vita e morte, una fortuna da 5 milioni di dollari. "All'inizio la sceneggiatura prevedeva che il mio ruolo venisse interpretato da un uomo - ha spiegato l'attrice ai cronisti durante l'incontro all'Hotel Flora, in via Veneto - purtroppo non ci sono molti importanti ruoli femminili nel panorama hollywoodiano. Ho avuto la fortuna di interpretare questo ruolo e anche di produrre questo film, che apre a diverse interpretazioni, fonte di riflessione, ad esempio sull'ambiguità morale dei personaggi che partecipano ai reality". Sedato anche un principio di polemica che poteva riguardare la tv italiana. In una delle battute del film, infatti, si dice che negli usa non si possono mica far vedere sempre seni e sederi "come accade nella tv italiana". Ma la distribuzione ha spiegato che, nelle diverse traduzioni, cambia la "nazionalità": nella versione americana, ad esempio, la battuta recita "non siamo mica a Parigi".
L'attrice ha criticato il peggio della tv americana, definendo "disgustosi" i reality show che "manipolano le vite personali dei protagonisti e mettono in piazza le loro angosce emotive, per costruire il successo del programma". E proprio in questo contesto si muove il suo personaggio, Katy Courbet, donna arrivista e senza scrupoli, in un film che non manca di ironizzare sul trash della tv americana ma vuole soprattutto offrire un'occasione di riflessione sui confini morali che la tv a caccia d'ascolti potrebbe o dovrebbe rispettare. "Penso che la televisione stia andando verso un futuro inaccettabile - dice ancora la Mendes - quello che raccontiamo sta accadendo in questi giorni al Grande Fratello inglese, dove una donna in fin di vita ha venduto a un'emittente l'esclusiva delle immagini del suo matrimonio. Forse in questo momento qualcuno sta davvero progettando uno show che faccia grandi ascolti giocando con la vita della gente". E a chi le prospetta l'ipotesi di una pioggia di critiche dal Vaticano - visto che si racconta di anime pronte a vendersi in cambio di grandi quantità di denaro - la Mendes replica: "Io non mi occupo del Vaticano, non parlo a suo nome e vorrei essere di nuovo la benvenuta in Italia, paese che amo da quando, da ragazzina, mi regalarono una statuetta della Torre di Pisa". Un souvenir abbastanza trash, proprio come certa nostra tv". (La Repubbica)

La morte dell'informazione.

"La vicenda del presunto vilipendio del capo dello Stato da parte di Antonio Di Pietro si è rivelata, più che un equivoco, una figura barbina per l'Unione Camere Penali.
Bei tempi, quando la Lega Nord voleva "abolire i reati di opinione, residui del codice fascista". Ora il ministro leghista Maroni querela 'Famiglia Cristiana' che ha definito "razzista" non lui, ma una norma dell'ennesimo pacchetto sicurezza. E Gasparri, il noto stilnovista che definisce "cloaca" il Csm, dà il benvenuto a Obama dicendo che "la sua elezione farà contenta Al Qaeda" e incolpa Napolitano per la morte di Eluana, fa fuoco e fiamme per una vignetta di Vauro. Ma in questo revival di intolleranza colpisce la vicenda del presunto vilipendio del capo dello Stato da parte di Antonio Di Pietro durante la manifestazione del 28 gennaio in piazza Farnese. L'epilogo è noto: la fulminea richiesta di archiviazione della Procura di Roma, cui è bastato ascoltare il discorso integrale del leader dell'Idv per stabilire che s'è trattato di un gigantesco "equivoco".Più che un equivoco, una figura barbina per l'Unione Camere Penali, che aveva denunciato l'ex pm per aver definito "omertoso e mafioso" il Quirinale. Ma, soprattutto, una figuraccia per l'intera stampa italiana, che aveva avallato quell'assurda interpretazione pur disponendo del filmato del discorso. Bastava un'occhiata per scoprire che Di Pietro aveva "rispettosamente" criticato il Quirinale per la firma al Lodo Alfano e più avanti, a proposito degli scandali che si susseguono in Parlamento, aveva aggiunto: "Il silenzio uccide, è un comportamento mafioso, per questo voglio dire quel che penso".Parlava del proprio eventuale silenzio, non di quello di altri. Ma un'agenzia di stampa, manipolando e associando le due frasi, aveva scatenato una piccata quanto irrituale replica del Quirinale alle presunte "espressioni offensive" che in piazza nessuno aveva pronunciato. Col solito strascico di dichiarazioni sdegnate di politici di destra, centro, sinistra e persino dell'Idv, tutti ignari di quanto realmente accaduto.Così la bufala aveva iniziato a galoppare travolgendo ogni rettifica e rimbalzando di tg in tg, di sito in sito, di giornale in giornale. 'Corriere della Sera': "Attacco al Colle, bufera su Di Pietro", "Una brutta deriva". 'Libero': "La mafia di Di Pietro. Accusa il Quirinale di atteggiamenti degni di Cosa Nostra". 'Il Giornale': "Questi han perso la testa. L'ex pm dà del mafioso a Napolitano". 'Il Riformista': "Vergogna Di Pietro. Definisce mafioso il comportamento di Napolitano".Nel 2004 uno studio dell'Isimm, commissionato dalla Vigilanza Rai, accertò che "la maggior parte delle notizie politiche dei tg nasce dalle dichiarazioni dei politici": Tg1, Tg2 e Tg3 dedicano il 62,4 per cento dello spazio alle dichiarazioni dei politici, il 28,2 alle notizie e solo il 9,4 ai contenuti. In Francia la proporzione è di 23, 21 e 54; in Spagna di 20, 45 e 35; in Germania di 32, 49 e 19. In Italia insomma la notizia non è quel che accade nella realtà, ma ciò che dicono i politici. E se ciò che dicono i politici non corrisponde alla realtà, è sbagliata la realtà". (Marco Travaglio-L'Espresso)

Ridateci i nostri soldi.


"Le banche e gli enti di controllo sono i primi responsabili della catastrofe finanziaria. Dov'erano in questi anni la Banca d'Italia, la Consob, l'ABI, i ministri del Tesoro? I Tremorti e i Padoa Schioppa? I Fazio e i Draghi? I Geronzi, i Passera, i Profumo? I sindaci che hanno investito in derivati le tasse dei cittadini? Gli analisti finanziari? I giornalisti economici? I Cardia e i Capuano? I titoli spazzatura, i futures senza futuro, i subprime, i Cdo, i buchi di bilancio, le esposizioni bancarie senza garanzie. Questi signori o sapevano tutto, e allora sono dei criminali e vanno perseguiti, oppure sono degli incompetenti da licenziare al più presto.
Il rinnovamento deve partire dai vertici finanziari. Liquidare i politici e lasciare al loro posto i banchieri non serve a nulla. Al prossimo giro chi ha il controllo del sistema finanziario eleggerà altri prestanome, servi o soci in affari.
Per salvare il Paese distrutto dalle banche si prestano soldi alle banche senza rimuovere i responsabili. E' un mondo alla rovescia. Si premiano con soldi pubblici, frutto delle tasse delle famiglie, gli stupratori del risparmio dei cittadini. Senza neppure chiedere un ricambio, con Passera e Geronzi al loro posto con stipendi da milioni di euro. Invece di fare un passo indietro, hanno fatto due passi avanti. I responsabili sono premiati, i cittadini, spesso, hanno perso tutto. Se rubi per fame del prosciutto al supermercato ti arrestano, se mandi sul lastrico migliaia di famiglie diventi presidente di Mediobanca.
E' in atto una rimozione collettiva.
Le banche controllano i giornali, sono presenti nei consigli di amministrazione dei gruppi editoriali. Lo tsunami finanziario è descritto come un evento soprannaturale, qualcosa di inevitabile, di cosmico. I vertici delle banche sono vittime della situazione, non responsabili. Quanto hanno guadagnato di stock option negli ultimi anni i banchieri grazie ai titoli tossici? Di quanto si sono ridotti lo stipendio dopo la crisi? Credo che sia necessario una pubblica discussione con dati, nomi, responsabilità, guadagni illeciti di chi è stato al vertice delle istituzioni finanziarie e dei loro complici dell'informazione. Nel frattempo, non un solo euro dello Stato alle banche".(Beppe Grillo)

Souvenir.


Razzismo all'italiana.

"Anche a un immigrato di successo e senza problemi economici quale Amauri, come pure a sua moglie Cynthia, è capitato di subire sulla propria pelle il razzismo di alcuni italiani. Lo rivela lo stesso attaccante brasiliano della Juventus al settimanale Gioia in edicola. «È successo anche a me. Qualche tempo fa in una farmacia mi hanno accusato di rubare un pacco di pannolini. Li stavo posando, lo scaffale era vicino all'uscita e la porta automatica si è aperta. La farmacista voleva chiamare i carabinieri e io non avevo fatto nulla, semplicemente ero straniero e non parlavo un italiano perfetto. Le ho risposto: li chiami pure, poi la denuncio io: Lei è razzista...», racconta Amauri. «E ho aggiunto: sono più italiano di lei, e magari un giorno rappresenterò il suo Paese», prosegue. Razzisti gli italiani? «Una minoranza, è vero, ma sono episodi che fanno stare male», dice a sua volta Cynthia, anche lei brasiliana, alla quale è capitato di sentirsi dare del tu nei negozi, e di sentirsi suggerire da una commessa di Verona: «Perché non vai in un outlet?». «Quando tornavo a casa e la trovavo di cattivo umore, sapevo già il perché», spiega l'attaccante, dal 2001 in Italia e che ha giocato negli ultimi anni nel Chievo e nel Palermo prima di arrivare alla Juve. E un Amauri con la maglia azzurra della Nazionale - rileva il giornale - potrebbe non essere lontano. Il passaporto italiano di Cynthia, che ha un bisnonno cuneese e vive in Italia da oltre dieci anni, è infatti in arrivo". (Corriere della Sera)

Centrali nucleari? Mettiamole in vaticano.

"Proprio ieri, 24 febbraio, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha presentato a camere riunite il suo progetto riguardo la produzione di energia e ha specificato che la produzione sarà pulita e rinnovabile. Inoltre, ha annunciato la quota di denaro che lo Stato americano ha intenzione di stanziare a cominciare da subito. Ha aggiunto: "Il nostro primo obiettivo è quello di riuscire ad abbattere drasticamente l'inquinamento atmosferico e l'effetto serra". Il giorno stesso, a Roma, il nostro primo ministro Berlusconi firmava un accordo per attuare nel nostro paese l'impianto di ben quattro centrali nucleari di terza generazione, e non ha assolutamente parlato dei problemi di riscaldamento globale. Segnaliamo a questo proposito che l'inquinamento della città di Milano per ben 35 giorni sui 55 dall'inizio dell'anno ha superato il livello di inquinamento atmosferico, raggiungendo i 171 microgrammi di polveri sottili, contro i 50 del limite europeo. Ma il Governo italiano e il Comune di Milano non fanno una piega. Tornando al nucleare, Berlusconi ci dà notizia dell'avvenuto accordo sfoderando un sorriso compiaciuto. E aggiunge che finalmente si è "abbattuto il fanatismo ecologico di una parte politica che già vent'anni fa ci aveva impedito di terminare la costruzione di due nuove centrali". Quindi si torna al nucleare? Ma come, ci siamo battuti tanto, il 70% degli italiani nel referendum sulle centrali ha votato contro, e lui ci definisce in massa fanatici dell'ecologia? E specifica che quello nucleare è un metodo ormai controllabile e sicuro. Ma come sicuro? Silvio, ti sei scordato che non più tardi dell'anno scorso in Francia succedeva un disastro: dall'impianto nucleare più importante della nazione, fuoriuscivano scorie tossiche che colpivano dieci operai. "Ma, calma!" dice il ministro francese, "degli operai sono stati colpiti dalle esalazioni, è vero, ma solo leggermente". Cosa significa "leggermente"? Significa che i danni procurati alla salute di quei dipendenti sono insignificanti: gli son diventati i capelli un po' azzurri, gli occhi fluorescenti e la pelle leggermente squamata. Qualcuno ha anche le branchie, ma gli stanno bene.
Ma io mi chiedo, questo nostro presidente è disinformato naturale o ha studiato per diventarlo? Nessuno gli ha detto che, a parte il pericolo continuo di disastro tipo Chèrnobyl, per il nucleare esiste il problema delle scorie? E che noi, in Italia, per il solo fatto di aver messo in funzione un paio di centrali nucleari cinquant'anni fa, ancora oggi abbiamo scorie che non sappiamo dove sbattere? E lo stesso accade anche in Francia, Il presidente ha dichiarato che entro il 2020 da noi sarà già attiva la prima delle quattro centrali previste. Ma quel cervello incandescente di governante sa cosa costa montare una centrale nucleare? In Finlandia ne stanno costruendo giusto una di ultima generazione. Avevano previsto che sarebbe costata un miliardo di euro, ma a metà percorso si sono accorti che il miliardo previsto s'era raddoppiato, due miliardi. Ora i responsabili della centrale, gente preparata e onesta, hanno avvertito che il valore dell'energia che riusciranno a produrre con quella loro centrale non riuscirà a coprire neanche la metà dei costi di fabbricazione ed impianto. Non solo, ma che la perdita aumenterà a dismisura quando, fra una ventina d'anni, come di norma, dovranno smontare tutto l'impianto e preoccuparsi di imballare ogni elemento dentro un enorme container in cemento armato, e poi andare a sistemarlo in uno spazio scavato nella roccia a un minimo di dieci metri sotto il livello del suolo. E il nostro presidente, sempre lui, Silvio Eta Beta, assicura che l'energia nucleare è la più economica e produce ampi vantaggi e viene smentito immediatamente da ogni scienziato onesto e informato che lo sbeffeggia: "Ma che dici, Eta? Attento a te, i reattori funzionano solo grazie all'uranio arricchito. Ora devi sapere che negli ultimi anni il prezzo di questo propellente è aumentato di addirittura sette volte, per la semplice ragione che le riserve stanno per finire; e giacché il governo italiano ha appreso che per soddisfare l'intiero bisogno della nazione si dovrebbero realizzare, sul vostro territorio, almeno sessanta centrali dell'ultima generazione, dove andate a sbattere? Vi è sfuggito il particolare che per raggiungere questo numero abbisognano almeno trent'anni, con una spesa da fantascienza? E poi c'è il guaio che proprio in ragione dell'enorme numero di centrali che ogni paese cosiddetto civile ha in programma di costruire, entro quindici anni di uranio fruibile non ce ne sarà più e allora con cosa le fai andare le sessanta centrali, con le noccioline? O col popcorn?! E poi, cervellone mio, ci spieghi in quale zona o territorio hai in mente di costruirle queste centrali? Nessuno ti ha detto che l'Italia è un paese a forte incidenza tellurica? E che dal nord al sud più profondo non c'è luogo dove sia pensabile montarci un impianto nucleare? L'unico sicuro sarebbe Roma, anzi il Vaticano è proprio il punto ideale... io insisto e firmo per una soluzione del genere". (Dario Fo)

mercoledì 25 febbraio 2009

Marea.


Casablanca.


Conosciamoci 2. Da 'extracomunitaria' a presidente del Ghana.

Le ultime elezioni in Ghana sono state la prova che il processo democratico nel paese è maturo. Molte speranze sugli introiti petroliferi dal 2010. La discesa in campo di Samia Nkrumah, figlia dell'ex presidente Kwame Nkrumah, che ha lavorato in Italia come giornalista.
John Atta Mills, il nuovo presidente del Ghana, si è ufficialmente insediato il 7 gennaio scorso dopo una elezione che lo ha visto prevalere di un soffio, lo 0,20% in più, sul suo diretto concorrente, il candidato del partito di governo, l'NPP (New Patriotic Party), Nana Akuffo Addo. Dopo una prima tornata elettorale svoltasi il 7 dicembre, risoltasi con un nulla di fatto per l'impossibilità di alcuno dei candidati di ottenere il 50%+1 che avrebbe concesso subito la vittoria, si è svolto il ballottaggio il 28 dicembre e qui Atta Mills e il suo partito l'NDC (National Democratic Congress) hanno conquistato il 50,23% dei voti, risultato che ha portato la presidenza a Mills e dato al NDC una strettissima maggioranza in parlamento. L' NDC dell'ex-presidente Rawlings che nel 1994 aveva portato il paese alla democrazia, dopo un lungo periodo di regimi militari che si erano susseguiti a partire dal 1966, anno in cui fu deposto il primo presidente del Ghana, Kwame Nkrumah, si riprende dunque il potere e fa sì che questa sia la seconda volta nella storia del Ghana che il potere politico venga trasferito da un leader legittimamente eletto ad un altro.Molti osservatori internazionali presenti nel paese durante il periodo elettorale per verificare la regolarità del voto, hanno rimarcato unanimemente che questa è la prova che il processo democratico nel paese è ormai maturo. I ghanesi hanno con orgoglio sottolineato quanto il paese sia unito e pacifico rispetto ad altri paesi del continente dove spesso le elezioni sono state invece motivo di scontri etnici. La campagna elettorale è stata comunque aspra e a tratti spigolosa, caratterizzata anche da una retorica violenta. I due maggiori partiti si sono accusati di tutte le peggiori nefandezze possibili, e così gli uni erano corrotti o narcotrafficanti e gli altri assassini o torturatori. In realtà le posizioni dei due partiti, sebbene ideologicamente diversi, l'NDC si definisce socialdemocratico mentre l'NPP ha una impostazione più liberale, sono molto simili riguardo ai temi economici e finanziari. Jerry Rawlings negli anni 90 ha privatizzato molte delle aziende del paese, seguendo le raccomandazioni che gli arrivavano dal Fondo Monetario Internazionale. Su questa linea si è attestato anche l'NPP che ha proseguito le privatizzazioni e ha favorito l'arrivo di investitori stranieri in Ghana. Oggi, se rapportata ai parametri degli altri paesi del continenete, l'economia gode di discreta salute, favorita da un clima di stabilità politica e dagli alti prezzi sul mercato del cacao e del caucciù di cui il Ghana è grande produttore. La recente scoperta di larghe riserve petrolifere al largo del golfo di Guinea, in acque territoriali ghanesi, fa prevedere agli osservatori economici un robusto salto in avanti del paese quando il petrolio comincerà a essere estratto nel 2010. La vera novità di queste elezioni è stata però rappresentata dalla discesa nell'agone politico di Samia Nkrumah figlia di Kwame Nkrumah, che dopo lunghi anni passati in esilio tra l'Egitto e l'Italia, dove ha lavorato come giornalista, ha deciso di ritornare in Ghana e presentarsi come candidata parlamentare del CPP (Convention People's Party), il partito fondato da suo padre, per il collegio elettorale di Jomoro, una delle regioni più povere e isolate del paese, che si trova proprio al confine con la Costa d'Avorio e il cui capoluogo Half Assini è il villaggio dove è cresciuto Kwame Nkrumah.Samia Nkrumah è riuscita a conquistare il seggio superando nettamente il suo diretto contendente, il forte candidato del NDC Lee Ocran che era stato parlamentare per il Jomoro per due legislature. L'evento, notevole per la scena politica ghanese, ha fatto gridare a molti che lo spirito di Nkrumah è tornato a "splendere sul Ghana". L'ex-presidente ha sempre conservato una grande popolarità nel paese, che si è andata via via accentuando negli ultimi anni, e molti vedono con favore e speranza il fatto che sua figlia ora si sia presa la responsabilità di ribadire e rinnovare il messaggio e la visione di suo padre. Samia Nkrumah ha condotto una campagna elettorale battendo a tappeto tutti i villaggi nella regione del Jomoro, conquistandosi sul campo la fiducia e l'affetto della gente. La loro speranza è che la sua elezione possa contribuire a migliorare le condizioni di vita in un'area che è sprovvista dei minimi servizi di base come l'acqua potabile, l'elettricità, le scuole. L'elezione di Samia Nkrumah ha sorpreso molti degli osservatori politici ghanesi indipendenti, perché nonostante la forte simbologia che il suo nome ha in Ghana, l'opinione corrente era che la sua mancanza di esperienza alla fine l'avrebbe penalizzata.Oggi, invece, i due partiti maggiori cercano di contendersi il suo voto, e stringere un'alleanza con il CPP. Per il momento la Nkrumah ha deciso di attestarsi su una posizione di indipendenza da entrambi i partiti e ha dichiarato che in Parlamento voterà secondo coscienza e non secondo schieramenti di parte, tenendo sempre come obiettivo principale della sua azione politica le istanze e le rivendicazioni della gente del suo collegio elettorale, il Jomoro". (Limes)

Berlusconi sono io.

"Il berlusconismo sta portando alla luce certi modi comportamentali che erano sì latenti nell’italiano, ma che un minimo di rispetto delle regole del vivere civile impediva di far venire a galla. Berlusconi è l’esempio vivente di come uno degli uomini più ricchi del mondo possa sempre farla franca davanti alla giustizia. Questa furbizia, questa abilità, agli occhi dell’italiano diventa un grandissimo merito, un pregio, una qualità rara. E perciò un esempio da seguire appena che se ne presenti l’occasione. Berlusconi è l’uomo che dichiara pubblicamente che le tasse non vanno pagate ove siano reputate, dal cittadino stesso, troppo elevate. E così la cifra dell’evasione fiscale, blandamente perseguita, ha raggiunto cime vertiginose. Berlusconi è colui che afferma di essersi fatto da sé, senza l’aiuto di nessuno. Il che non è affatto vero, ma è riuscito a farlo credere. Questo ha peggiorato il carattere individualista dell’italiano. Berlusconi, da autentico parvenu, ostenta la sua ricchezza, di ogni nuova sontuosa villa che acquista dà una sorta di comunicato ufficiale. Il messaggio sottinteso è che tutti possono diventare come lui. E infatti la corruzione nel nostro paese ha superato i limiti di guardia. Berlusconi fa eleggere tra i suoi senatori e deputati persone condannate per collusione con la mafia o per altri reati comuni sostenendo che così facendo li salva dalla «persecuzione dei giudici». Di conseguenza, il senso morale dell’italiano è diventato solo una pallida ombra. Berlusconi è l’uomo capace di telefonare a un alto funzionario Rai per raccomandargli un’attricetta amica di un senatore appartenente allo schieramento avverso disposto però a votare in suo favore se la ragazza avrà una parte. Nella stessa telefonata promette al funzionario che, quando questi se ne andrà dall’azienda mettendosi in proprio, egli è pronto ad aiutarlo. Berlusconi sostiene di avere ricevuto decine di ispezioni dalla guardia di finanza senza che mai venisse trovato nulla d’irregolare. Resta il fatto che un ufficiale a capo di un’ispezione dopo pochi mesi si dimise per passare al servizio di Berlusconi e quindi diventare deputato di Forza Italia. Come lo è diventato il generale comandante della guardia di finanza dopo essere stato costretto alle dimissioni per la sua condotta non certo lineare.
Berlusconi è un maestro nell’arte della «componenda», che in origine era un pactumsceleristra mafia, forze dell’ordine e potere politico perché ognuno traesse il proprio beneficio da una determinata circostanza. Un esempio recente di componenda può considerarsi la conduzione berlusconiana della partita Alitalia. Respinta la richiesta dell’Air France di comprare la compagnia di bandiera in nome dell’italianità, Berlusconi ha fatto acquistare la compagnia da una cordata italiana a prezzi di saldo, con un numero di esuberi assai superiore a quelli previsti nell’offerta Air France e scaricando milioni di debiti sul contribuente italiano. Ma ha infine «composto» anche con Air France consentendole di acquisire il 25% (per ora) delle azioni. Un detto popolare recita che il pesce comincia a puzzare dalla testa. Di conseguenza, oggi l’italiano spande un po’ di puzza attorno a sé. Come stupirsi dunque della gaffe statunitense successa quando, ai capi di governo che si recavano in Giappone, il Dipartimento di Stato distribuì un dépliant dove l’Italia era definita «un paese corrotto»? Di questo incidente la stampa e la tv accennarono solo di sfuggita. E parliamo d’informazione Non so in quale credibile statistica mondiale l’Italia compare agli ultimi posti per ciò che riguarda la qualità dell’informazione. Se vivessimo in un paese governato da una dittatura, questo sarebbe ovvio. Ma noi viviamo in un regime democratico, anche se sempre di più l’attuale governo punta sul sostantivo mettendo in ombra l’aggettivo. E infatti si parla già di una sostanziale modifica della costituzione che sbocchi in una Repubblica presidenziale. Qual è la situazione dell’informazione italiana? In mano all’attuale capo del governo c’è il gruppo che possiede le tre maggiori televisioni private. L’attuale capo del governo è proprietario di un quotidiano, Il Giornale e ne controlla altri, tra i quali Libero e Il Foglio. L’attuale capo del governo possiede numerosi settimanali illustrati. L’attuale capo del governo è proprietario della più grande casa editrice italiana, la Mondadori, la quale a sua volta è la maggiore azionista di altre case editrici, tra le quali la prestigiosa Einaudi. Inoltre, una delle tre reti televisive di Stato, la seconda, è assegnata al Pdl, il partito del capo del governo. In sostanza, il capo del governo ha il controllo diretto sulle tre televisioni di sua proprietà e il controllo indiretto su una rete Rai.
Ma la sua influenza arriva anche sulla prima rete di Stato: ricordiamoci che ha chiesto e ottenuto la testa di un grande giornalista italiano, Enzo Biagi, che proprio su quella rete esprimeva le sue opinioni. A nulla sono servite sentenze della Cassazione e richiami europei perché questo osceno conflitto d’interessi venisse risolto. Oltretutto, il conflitto d’interessi, a quanto pare, non interessa l’italiano. Non lo turba minimamente. Anche lui avrebbe agito così, se ne avesse avuto l’opportunità. Anzi, nel suo piccolo, spesso agisce così. C’è il pensionato che non dichiara il lavoro nero che fa, c’è l’impiegato che timbra il cartellino, esce dall’ufficio, e va a fare un secondo lavoro. Anche questo in nero. Se il capo del governo fa lo stesso di quello che fa lui, ma in grande, che male c’è? Ora si tenga presente che l’italiano è sostanzialmente un uomo incolto. In Italia si leggono pochissimi libri, da noi ci sono ancora circa due milioni di semianalfabeti e milioni di persone a malapena in grado di compitare. Dei giornali, l’italiano legge solo i titoli. E si vanta di essere capace di farsi un’opinione su tutto da quella sommaria lettura. Perché l’italiano è un uomo soprattutto presuntuoso. E saccente. Capace di tranciare giudizi sul restauro della Cappella Sistina senza averla mai vista. E senza avere mai in vita sua letto un libro su Michelangelo. Capace di dire la sua sul ponte dello Stretto di Messina senza essersi mai mosso da Vigevano, senza intendersene né di ingegneria né di economia. Capace di esprimere la sua profonda convinzione sul passante di Mestre senza avere mai messo fuori il naso da Catania e senza capirci niente dei problemi di viabilità. Le frasi che più frequentemente l’italiano usa sono: «Se fossi io il ministro delle Finanze…» oppure: «Se fossi io il capo del governo…» oppure: «Se fossi io il presidente della Repubblica…» oppure: «Se fossi io il papa…». E tutto questo senza contare che in Italia spesso e volentieri i titoli dei giornali dicono l’opposto del contenuto degli articoli. Quindi la televisione resta il vero, unico mezzo d’informazione. Un’informazione quasi sempre manipolata alla quale però l’italiano crede ciecamente.
Ma attenzione: di fronte allo strapotere dei mezzi d’informazione in mano al capo del governo, anche le reti televisive Rai, quelle diciamo così indipendenti e i quotidiani non di sua appartenenza, mostrano troppo spesso una certa cautela nell’informare su fatti che potrebbero spiacere al massimo detentore del potere politico e mediatico. Certi episodi vengono ignorati del tutto, altri presentati con opportuni accorgimenti che ne diminuiscano il probabile impatto negativo presso i telespettatori. Tra i quotidiani, c’è qualche lodevole eccezione come La Stampa e la Repubblica, ma, nella sostanza, esiste un solo giornale di netta opposizione, l’Unità, dal capo del governo visceralmente detestato. Il resto, salvo una o due voci dissonanti, è coro. Qualche parola in più circa l’effetto della televisione sull’italiano. Negli anni nei quali la Rai agì in regime di monopolio televisivo non si può in coscienza negare che essa ebbe una certa influenza sulla crescita culturale degli italiani. I dibattiti politici vedevano in genere un segretario di partito alle prese con una decina di giornalisti appartenenti a testate politicamente tra loro opposte i quali non risparmiavano domande imbarazzanti o provocatorie. Non c’era l’ossequio devoto al potere che oggi si trova espresso in trasmissioni tipo Porta a porta. I documentari che mostravano com’era l’Italia, anche se alcuni discutibili, erano sempre e comunque sceneggiati da scrittori e giornalisti d’alto livello e diretti da registi di rango o specializzati. I grandi romanzi sceneggiati, tratti per lo più da opere classiche, incoraggiavano alla lettura. L’appuntamento settimanale della prosa presentava testi d’impegno che spaziavano da Strindberg a Pirandello, da Ibsen a Sartre. Persino trasmissioni di varietà come Studio uno avevano gusto e raffinatezza oggi inconcepibili. La situazione mutò radicalmente con l’avvento delle tv private e soprattutto con l’unificazione operata da Berlusconi, sotto il mantello protettivo di Craxi, tra diverse emittenti che furono raggruppate in tre reti in diretta concorrenza con le tre reti della Rai. Le televisioni private possono vivere solo se sono supportate dalla pubblicità. Ora è chiaro che chi deve pubblicizzare un prodotto cerca il più gran numero possibile di ascoltatori. E il maggior numero di ascoltatori una tv privata l’ottiene non alzando la qualità culturale delle trasmissioni, che rischierebbe di farle diventare per pochi, ma operando in direzione opposta.
La Rai commise l’imperdonabile errore di adeguarsi ai sistemi delle tv private tagliando dal palinsesto i programmi di minore ascolto, come ad esempio la prosa, vale a dire eliminando le trasmissioni più culturalmente impegnative. Nel giro di una ventina d’anni il risultato innegabile è stato che la piattaforma culturale dell’italiano si è abbassata di tantissimo, se oggi possono imperversare trasmissioni come i reality show e le soap opera. L’italiano d’oggi è assai più ignorante dell’italiano di vent’anni fa. Con tutte le conseguenze immaginabili. Tra parentesi: la richiesta di spot pubblicitari sulle reti Mediaset è esponenzialmente aumentata rispetto alla Rai. L’italiano corre sempre in soccorso del vincitore, diceva Ennio Flaiano. Ma questo non è esatto, l’italiano non corre in soccorso di un vincitore chicchessia, sceglie accuratamente su quale carro trionfale saltare all’ultimo minuto. E la scelta è dettata quasi sempre da una precisa domanda: che cosa me ne viene in tasca? Insomma, nella decisione dell’accodarsi prevale sempre il particulare. Certo, quando Pirandello nel 1924, dopo il delitto Matteotti, prese la tessera del partito fascista, saltò sul carro di chi in quel momento era in grossa difficoltà. E lo stesso fece Giovanni Gentile quando tornò alla ribalta allorché la guerra mise il fascismo in crisi. Ma sono esempi rari e isolati. Diciamo che non fanno testo. Nessun italiano corse in aiuto di Ferruccio Parri, l’unico presidente del Consiglio azionista dell’Italia democratica, un galantuomo di ferrei princìpi morali e politici, antiretorico, per niente incline a chiedere simpatie. I qualunquisti di allora lo ribattezzarono «Fessuccio», mentre i fascisti risorti scrivevano sulle mura di Roma: «Aridatece er capoccione nostro». Nessun italiano è corso in aiuto di Prodi quando ha vinto le elezioni. Anzi, c’è stata una specie di concorde tiro al bersaglio di amici e nemici contro di lui. Ci fu addirittura un partito alleato che si dichiarò «di lotta e di governo». Vale a dire che teneva prudentemente il piede in due staffe. Anzitutto Prodi non era aiutato dall’aspetto fisico. Che per l’italiano conta moltissimo. Era un uomo piuttosto dimesso, che parlava a bassa voce e con una certa difficoltà. Somigliava molto a Parri.
Vuoi mettere col sorriso accattivante di Berlusconi e col suo eloquio torrenziale condito da barzellette e da citazioni della zia monaca? Andrebbe qui ricordato opportunamente che tra i motivi del consenso a Mussolini ce ne sono stati due non indifferenti: il suo modo di protendere la mascella e la sua oratoria tribunizia. All’italiano non importa capire a fondo il senso di ciò che gli viene detto da un balcone, da un palco, gli basta restare incantato dal suono delle parole. Lo diceva anche il grande Petrolini quando interpretava il personaggio di Nerone. E l’italiano crede alle promesse, anche quelle che si dimostrano irrealizzabili al lume del senso comune, che ogni politico venditore di fumo è pronto a elargirgli. Dentro di sé è convinto che quel politico non sarà mai in grado di realizzare tutto ciò che promette, ma è altrettanto convinto che se quel politico riuscirà a portare a compimento solo una parte di quello che ha promesso, lui personalmente ne riceverà grossi benefici. Prodi prometteva poche cose, Berlusconi un avvenire meraviglioso, una sorta di Eden dove si poteva commettere anche qualche peccatuccio senza timore d’incorrere nell’ira divina. Era inevitabile quindi che l’italiano corresse in soccorso di quest’ultimo. Un problema dei tempi recenti è rappresentato dal riaffiorare nell’italiano di atteggiamenti razzisti. Lo scrittore inglese Evelyn Waugh, che nel 1935 seguì la campagna d’Etiopia, un giorno vide dei nostri soldati che fianco a fianco con operai abissini sistemavano le traversine di una linea ferrovia. Ne dedusse che gli italiani non avevano uno spirito coloniale: infatti mai un soldato inglese si sarebbe messo a sudare assieme a un indiano, un afghano, un africano in un comune lavoro. Non aveva tutti i torti, la nostra politica coloniale ha sempre oscillato tra la repressione più feroce e il permissivismo più inconcludente. Del resto l’italiano non cantava: «Quando l’Africa si piglia/ si fa tutta una famiglia»? Dunque l’italiano non dovrebbe essere razzista. Invece lo è. Un’altra dimostrazione di coesistenza dei segni + e -? Nel 1938, al tempo della promulgazione delle leggi razziali contro gli ebrei, che costituirono il preludio allo sterminio, non ci fu nessuna reazione da parte dell’italiano che sostanzialmente era d’accordo col fascismo nel ritenere l’ebreo brutto, sporco e cattivo. E questo senza bisogno di leggere il Manifesto dei 10 o riviste come La difesa della razza. Certo, ci fu una minoranza che aiutò gli ebrei in tutti i modi possibili per salvarli dalla persecuzione, ma è innegabile che la stragrande maggioranza non mosse un dito. Anzi, furono in tanti a impadronirsi delle loro proprietà e dei loro commerci. Poi, nel dopoguerra, il razzismo venne sepolto nella dimenticanza. Tra l’altro, i firmatari dell’ignobile Manifesto dei 10, dopo un brevissimo periodo d’eclissi, tornarono alle loro cattedre universitarie. Il razzismo è risorto, virulento, in tempi recenti, aizzato tanto dalla Lega quanto dalle frange estreme dei movimenti di destra. E supportato dal silenzio, al riguardo, di Berlusconi e dei suoi.
Mentre Fini proclama, ed è sincero, che le leggi razziali sono state il male assoluto, alcuni suoi seguaci dicono di non essere d’accordo con le sue dichiarazioni. Nel Nord imperversano personaggi, come l’eurodeputato leghista Borghezio, che incitano all’odio razziale, ma anche a Napoli si buttano le molotov contro i campi nomadi. Oggi l’italiano, in questo finalmente concorde, è convinto che in ogni moschea s’annidi un covo di pericolosi terroristi, che i romeni siano tutti malavitosi, che gli stupratori siano sempre di colore. Resta un pochino deluso quando poi si scopre che ad uccidere, a rubare, a violentare sono stati degli italiani. E si è arrivati all’abiezione, non si può definire diversamente, di voler prendere le impronte digitali ai bambini rom. Oggi come oggi il volto dell’italiano non è gradevole da guardare. Lo stato attuale delle cose è la prevalenza dell’ideale del motorino. Per capire ciò che intendo dire basterà guardare la circolazione stradale in una qualsiasi grande città italiana in un’ora di punta. Mentre, bene o male, anche per la presenza dei vigili urbani, le automobili rispettano le regole, si fermano col semaforo rosso, non fanno inversioni di marcia a U, non prendono i sensi vietati, i motorini dilaganti non rispettano nessuna regola. Salgono sui marciapiedi, passano col rosso, procedono contro mano, svoltano dove non dovrebbero, s’incuneano tra auto e auto, non tengono conto delle strisce pedonali. Il loro percorso insomma è un’infrazione continua. A loro è concesso ogni arbitrio. Anche i vigili urbani fanno finta di niente, chiudono tutti e due gli occhi. Ecco, forse l’ideale dell’italiano di oggi è essere un motorino". (Andrea Camilleri-Limes)

Io mi associo.

Io mi associo alla gente semplice, ai politici servi di chi li ha eletti, alle forze dell'ordine in difesa del cittadino, ai funzionari pubblici a disposizione della comunità, agli amministratori che amministrano per il bene comune, ad un parlamento saggio e lungimirante che legifera per il nostro benessere, ai giudici veloci e giusti, agli avvocati che difendono, ad un mondo dello spettacolo che ci arricchisca, ad un'informazione informata e vigilante, ad un servizio pubblico per tutti che ci faccia crescere, alla condivisione della ricchezza, alla multietnicità, a scuole pubbliche in grado di insegnare, a ministri competenti, alla conoscenza e alla verità.

Io mi dissocio.

Da oggi, come cittadino italiano, europeo e del mondo, io mi dissocio pubblicamente dalle leggi razziali che sta emanando il mio governo, dalla discriminazione dei rom e di tutti gli stranieri, dall'utilizzo delle ronde, dal mio premier, dai ministri fascisti e da quelli leghisti, da un'opposizione finta di pd e udc, dai tentennamenti del quirinale, dai militari nelle strade, dai berluscones, dalle leggi contro la vita, dalla chiesa cattolica e da ogni altra confessione che voglia imporre il suo credo a me e alla mia famiglia, dalla pelosa carità cristiana, dai crocifissi nelle scuole e nelle aule dei tribunali, dalle ingenti proprietà non condivise da chi possiede troppo, dalle scuole private discriminatorie, dalla ricchezza ostentata, dall'ignoranza ignorante, dai parlamentari condannati e in odore di mafia, dai magistrati venduti, dai giornalisti asserviti, dalla falsa informazione, dal nostro sindacato dei giornalisti e dal nostro ordine, dal trash straripante della tv, dalla volgarità imperante, da programmi mediatici demenziali che alterano la morale comune, dalle solite facce di merda che girano nei palinsesti, dalla pubblicità che ci inganna, da un canone rai imposto i cui proventi sono senza controllo, dall'amministrazione rai e dai suoi controllori, dalle authority farlocche, dal csm politicizzato, dai giudici corrotti, dagli avvocati succhiasangue servi dei benestanti, dalla lentezza ingiusta della giustizia, dai raccomandati, dalla mafia, dalla n'drangheta, dalla camorra, da tutti quelli che lucrano sulla vita degli altri con la prepotenza e la sopraffazione, dalla mentalità di chi asseconda una visione mafiosa della vita e della società, dal nucleare di qualsiasi generazione, dai pedofili e sfruttatori della povertà altrui, da chi affama l'Africa e il resto del mondo senza saperne niente, da organismi internazionali mangiasoldi ed inutili, dalle case farmaceutiche che lasciano morire chi non si può comprare le medicine, dalle false ong, da missionari inesistenti, da raccoglitori di fondi per il proprio benessere, da chi adotta un bambino a distanza lasciando morire il proprio vicino, da chi rinchiude gente inerme nei cpt, da chi giudica con un ricco conto in banca, da chi non è in galera dopo aver provocato la crisi attuale, dai furbetti di tutte le specie, da chi uccide il diverso, da chi caccia il povero che gli dà fastidio, dall'ipocrisia imperante.

Cuffaro vigila sulla rai!?!

"Walter Veltroni come ultimo atto della sua eclissi, ha nominato il suo carissimo amico Giorgio Van Straten alla Vigilanza Rai. Per una strategia, che si traduce in: tagliamoci le palle per fare dispetto alla moglie; il secondo nome, pur di non concederlo all’Italia dei Valori, che lo aveva contestato più volte, ha deciso di lasciarlo alla Udc. I senatori dell’Udc sono: Gianpiero D’Alia (quello che vuole imvagliare il web) e i due Totò: Cuffaro e Cintola. Poco dopo la nomina il senatore D’Alia viene sostituito da Salvatore Cuffaro, detto Vasa-Vasa, condannato in primo grado per per favoreggiamento semplice in seguito al processo denominato Talpe alla Dda. Le pene accessorie, sebbene in primo grado, sono la perpetua esclusione dai pubblici uffici. In quel processo si erano provate delle collusioni con noti personaggi continui se non organici alla mafia. Tra questi il ras delle Cliniche Private siciliane, Ing. Michele Aiello, di cui si ha traccia fin dal giorno dell’arresto di Totò Riina (15/01/1993), trovandone un appunto nelle tasche che indicava il dottor Aiello, per questioni legate all’attività precedenti ovvero la costruzione di strade interpoderali. Nello stesso processo si è provato che Cuffaro aveva rapporti con il boss Guttadauro, ex primario, e altri personaggi nell ambito medico mafioso di elevata caratura mafiosa e di indiscussa notorietà delle condanne.
Comprendo, che nel parlamento italiano sia difficile trovare politici con la fedina penale immacolata, mi chiedo invece se fosse il caso invece, oltre a far senatore un personaggio come Cuffaro, portarlo alla Vigilanza della TV pubblica. Uno sberleffo al popolo italiano. Pasolini diceva: “Io so, ma non ho le prove” Io dico: "Io so, io ho le prove, ma non posso fare niente". (www.agoravox.it)

lunedì 23 febbraio 2009

Demi frères.


Il partito dei figli di puttana.

Ieri al G8 (G7, G20, G32), uno dei tanti vertici che non servono a niente e che si è svolto in Germania, non a tutti è passata inosservata la scenetta con protagonista il solito Berlusconi. Credendo di essere nell'Italia della De Filippi (oramai hanno anche influenzato Sanremo con la vittoria di un'insulsa canzone proveniente da 'Amici') e dei suoi berluscones, sfoderando il suo ottimismo deficiente, nel suo intervento ha tenuto a precisare che, anche se le cose vanno male per la crisi finanziaria in corso, in Italia le banche e il sistema creditizio tengono e vanno meglio che negli altri Paesi. Nelle immagini si vedono i diversi leader europei che prima si guardano tra loro e poi non riescono a nascondere un risolino generale sull'ennesima cavolata detta dal nostro ridicolo premier. Come dire, poverino, ormai lo conosciamo. Purtroppo, però, il fatto è che tutti noi veniamo rappresentati proprio da questo individuo, che molti hanno votato e che molti continuano a votare. Allora ha detto bene la Litizzetto ieri sera in tv: facciamo un pfp (partito di figli di puttana) e sicuramente la maggior parte degli italiani lo voteranno, purché rubi di più, sia fascista, ignorante, xenofobo e chi più ce ne ha ce ne metta. Un'ultima cosa, se abbiamo questo governo e questo leader è perchè la maggior parte degli italiani sono come lui e condividono quello che fa. A chi non è d'accordo su quest'Italia da armata brancaleone non resta che impegnarsi in tutti le sedi affinchè la civiltà riprenda il suo corso e si lasci indietro questa pausa di barbarie (vedi ronde, testamento biologico, leggi ad personam, ministri nani e soubrettes, fascisti, razzisti, padani idioti e via dicendo). Stacchiamoci anche da un'opposizione sterile ed inciuciata e riprendiamoci la nostra democrazia.

Auschwitz all'italiana.


"Il pattugliatore 290 della Capitaneria di Porto lascia la darsena del molo vecchio con la luce del primo giorno, scatarrando cherosene nell'azzurro cobalto dei fondali. Perché la clemenza del bollettino del mare e la disperazione di chi lo attraversa sono più forti di un decreto legge. Perché per quarantotto ore, il canale di Sicilia si fa laguna e nella notte torna a restituire uomini, donne e bambini alla deriva. Questa volta, e "per disposizione di Roma", agganciati sui loro barconi oltre l'orizzonte e destinati alle spiagge di porto Empedocle, in Sicilia, e ai centri di identificazione ed espulsione (Cie) dell'isola madre. In una coltre di "discrezione" che consenta di dire che gli sbarchi su questo scoglio di 20 chilometri quadrati si sono spenti d'incanto dopo il consiglio dei ministri che appena venerdì ha riscritto un significativo paragrafo della Bossi-Fini. Con la stessa rapidità con cui sono state soffocate prima, e cancellate dai palinsesti televisivi poi, le fiamme della rivolta tunisina nel centro di contrada Imbriacole. È una finzione che, a ben vedere si è già svelata, nella notte tra sabato e domenica, sulle rocce di Punta Sottile, dove un gommone ha scaricato nove ombre inebetite e incartapecorite da freddo, acqua e salsedine, che parlavano la lingua del Maghreb. È una finzione che deve sedare la collera di seimila isolani e del sindaco ribelle che ne è alla testa, un ex seminarista nato a Pantelleria, eletto con il Movimento per le Autonomie di Lombardo, che di nome fa Bernardino De Rubeis e ha inopinatamente cominciato a chiamare le cose con il loro nome. Qui, sulla terra ferma e persino a Bruxelles. Dimostrando che Lampedusa non è la nuova linea del Piave contro la spallata dei migranti del sud del mondo. Ma ne è e ne sarà solo la discarica. Non più luogo di transito della disperazione. Ma suo centro di stoccaggio e smaltimento definitivo. In piazza Libertà, appesi agli infissi scrostati delle case che affacciano sul corso e a quelle del fatiscente Municipio, lenzuoli imbrattati di vernice rossa e verde lo raccontano a modo loro. "Le carceri al Nord, anche lì spazio ce n'è"; "Maroni affonda Lampedusa. Lampedusa affonda Maroni"; "Pacchetto vacanze Lampedusa 2009. Camera con vista mare, gita in barca con avvistamento clandestini. Visita guidata Centro di identificazione ed espulsione e la sera birra con amico africano. Inoltre, per la vostra sicurezza, un militare per ogni bella donna. Il tutto offerto dal presidente Berlusconi e dal ministro Maroni. Grazie".
I numeri del Viminale dicono che alla mezzanotte di sabato 21 febbraio, nel Cie di contrada Imbriacole i detenuti, che la burocrazia dell'immigrazione chiama "ospiti", erano 579. Tutti tunisini. E che a quella stessa data e ora, il "dispositivo di sicurezza" sull'isola aveva raggiunto i seicento effettivi. Un uomo in divisa per ogni migrante. O, se si preferisce, un uomo in divisa ogni dieci isolani. Carabinieri dei battaglioni di stanza in Sicilia, reparti mobili della polizia di stato risucchiati dalle questure di Catania e Palermo, finanzieri, soldati di esercito e aeronautica militare assegnati all'operazione "Strade sicure". Occupano ogni posto letto disponibile sull'isola (gli alberghi sono al completo fino ad agosto) e hanno trasformato il paesaggio verde e turchese dell'isola in un pezzo di Ulster italiano. Soldati smontanti che fanno jogging sulle banchine. Cellulari per il trasporto dei reparti antisommossa parcheggiati con il muso rivolto verso l'oasi naturale dell'isola dei conigli. Scudi di plexiglass e sfollagente appoggiati all'ingresso delle taverne del porto dove vengono serviti spaghetti al nero di seppia e calamari alla plancia in convenzione con il Viminale. "Lei come la chiama questa, eh? La chiama isola o la chiama carcere? È Lampedusa o Guantanamo?", dice il sindaco. A Roma, gli danno ora del pazzo, ora dell'irresponsabile, ora del furbacchione pronto a flirtare con quel che resta dell'opposizione di centro-sinistra e, prima o poi, a scendere a patti con il Governo, magari in cambio di un congruo indennizzo. Lui sembra infischiarsene e ripete come un disco rotto quel che nessuno sembra disposto ad ascoltare sulla terra ferma. "Qui i senza futuro non ci possono stare. Noi possiamo continuare a fare quel che abbiamo fatto fino a un mese fa, quando il nostro era ancora un centro temporaneo di primo soccorso. Accogliere e strappare alla morte in mare chi arriva qui fuggendo la guerra e la miseria. Ma non possiamo fare di più. Lampedusa può essere un centro di transito, non può diventare la tomba dei clandestini in attesa di rimpatrio coatto". Per spegnere l'ex seminarista che si è fatto incendiario, è arrivata sull'isola la donna che, per anni, ne è stata il braccio destro. L'ex vicesindaco Angela Maraventano, nata, cresciuta e residente a Lampedusa, oggi senatrice della Repubblica eletta con la Lega in un collegio scelto a caso in quel dell'Emilia Romagna. Di De Rubeis, la Maraventano pensa e dice il peggio. Di quel che sarà o dovrà essere l'isola dice di essere sicura tanto quanto la maggioranza di governo che rappresenta: "Fine del buonismo. Chi arriva a Lampedusa deve sapere che da qui ripartirà solo per tornare a casa propria. Il sindaco non vuole il Cie? Io l'ho detto a Maroni: per me i centri li possiamo anche fare in mare. Sulle navi della marina, così questi che ancora ci provano non toccano neanche terra. Hanno bruciato il centro? E noi lo ricostruiamo. Subito. Provano a bruciarlo di nuovo? E noi gli togliamo gli accendini e le sigarette, che fanno anche male alla salute. Il piano Maroni funzionerà. Vedrete, se funzionerà". Le statistiche lasciano prevedere il contrario. Il 70 per cento dei migranti che raggiungono Lampedusa fugge le guerre del Corno d'Africa e non c'è decreto legge che possa metterne in discussione il diritto all'asilo politico, riconosciuto dalle Nazioni Unite. Dunque, in Italia resteranno. Solo il trenta per cento (tunisini, marocchini, egiziani) arriva da quel Maghreb verso il quale dovrebbe essere rimpatriato. Ma è un numero così alto che non c'è discarica o prigione che possa contenerli. Novemila migranti maghrebini nel solo 2008. Vale a dire almeno otto volte il numero di clandestini per il quale gli accordi bilaterali chiusi dal nostro Paese consentono il rimpatrio coatto ogni anno. Non è un calcolo complicato. Se da domani non arrivasse sull'isola anche un solo maghrebino in più (e non sarà così), ci vorrebbero almeno sette anni per riportare indietro quelli che già sono in Italia. Ma nella logica di una gestione dell'emergenza che ricorda come un calco - persino nel linguaggio - quella dell'immondizia campana, lo stato di eccezione permanente si fa norma. A Lampedusa uomini e cose vengono impilati in buchi scavati nella terra. Gli uomini a Sud, nel centro sprofondato nella forra di contrada Imbriacole (le donne e i minori, in questi giorni assenti dall'isola, sono trattenuti nella ex base Loran dell'aeronautica, a Ponente). Le cose a nord, in una ferita aperta dalla Protezione civile tra le argille di Taccio Vecchio, area naturale a protezione integrale della Comunità europea, violata dalle ruspe della Protezione civile in nome delle "procedure in deroga" per gli stati di calamità. Tre colline di legno, gomma e ferro, dove, inclinati su un fianco come carcasse di cetacei, riposano i barconi della disperazione, marchiati al loro arrivo con la vernice rossa di chi li agguanta (G. F., guardia di Finanza; C. P. Capitaneria di Porto) e destinati ad essere "tritovagliati" insieme alla rumenta dell'isola. Simona Moscarelli, avvocato dell'Organizzazione Internazionale Migranti (una delle ong, che con "Save the children", l'Alto commissariato per le Nazioni Unite e la Croce Rossa lavora nel Centro di identificazione ed espulsione), racconta che ai prigionieri dell'isola nessuno ha ancora avuto il coraggio di comunicare quale sarà il loro destino. Che, verosimilmente, toccherà farlo a una delegazione del governo tunisino attesa per oggi. "Vogliamo prima capire se il decreto si applicherà anche a chi è sbarcato prima dell'approvazione della nuova legge", dice abbassando lo sguardo. Anche perché ricorda cosa è stato, sin qui, spiegare agli "ospiti" un altro dei buchi neri in cui la burocrazia dello smaltimento migranti ha sin qui annegato i ricorsi di chi, dichiarandosi minorenne, viene al contrario destinato al rimpatrio perché ritenuto maggiorenne. "La legge prevede il diritto di ricorso al Tar. Ma quello di Palermo si è dichiarato incompetente a favore dei giudici di pace di Agrigento. I quali, però, si sono detti a loro volta incompetenti. E comunque, chi ricorre non può contare sul gratuito patrocinio degli avvocati". Ricorrere è inutile. Quasi quanto chiedere oggi accesso al Centro. Non è un carcere, dicono. Ma, esattamente come un carcere, è ora impermeabile al mondo esterno "per motivi di incolumità". Gentili funzionari del Viminale assicurano che "tutto è tranquillo". Che "gli ospiti giocano persino a pallone". Dalla collina che lo sovrasta, lo spettacolo è diverso. Nei due bracci sopravvissuti all'incendio, separati dallo scheletro di lamiera dell'edificio fuso dal calore delle fiamme, una folla di uomini ciondola e spesso grida, agitando stracci dai ballatoi degli alloggi in cui è stipata. In brande e a terra. Nell'unico, angusto cortile, si sta seduti a gambe incrociate per l'appello, sotto lo sguardo di poliziotti trasformati in secondini. Tanto da strappare a Franco Maccari, segretario generale del Coisp, sindacato di polizia, arrivato sull'isola per guardare con i suoi occhi, che "in una situazione così degradante e allucinante, il peggio può ancora venire". Una nuova rivolta o magari un'altra notte come quella del 6 febbraio scorso. Alle 19 di quel venerdì, come ne documentano i registri di ingresso, arrivò nel poliambulatorio dell'isola il primo tunisino trasportato d'urgenza dal Centro. E dopo di lui, altri otto. Fino alle 5.20 del mattino. Nello stomaco di tutti, imprigionati in molliche di pane e morsi di patata, "corpi radio opachi". Lamette da barbiere. Nascoste nelle protesi dentarie al momento dello sbarco e ingoiate poi. Per bucarsi dentro e riuscire ad evadere dall'isola che si è fatta sarcofago". (Carlo Bonini)

domenica 22 febbraio 2009

Il Papa antipatico.

"Benedetto XVI denuncia «smarrimento e tempeste» all’interno della Chiesa, riafferma il primato del Papa (il cui ruolo «è stato ribadito dal Concilio») e invita i fedeli a pregare per lui. Un accorato richiamo all’ordine proprio nel giorno in cui, dopo il quotidiano britannico «Financial Times», anche il conservatore «Sunday Times» spara sul Palazzo Apostolico. Le scelte prese troppo «in solitudine» e lo stile «regale e distaccato» di un Pontefice quasi «invisibile» starebbero irritando anche chi dovrebbe essergli più vicino e in particolare alcuni cardinali. In prima pagina la corrispondenza dalla Città del Vaticano descrive una Curia allo sbando (sotto assedio per le critiche dagli episcopati francese, austriaco, tedesco, svedese, svizzero, inglese) e registra forti malumori tra i porporati, incluso il ministro dei Vescovi, Giovanni Battista Re, «costretto ad una decisione affrettata» sulla revoca della scomunica ai lefebvriani». La routine giornaliera del Papa viene messa sotto accusa «per una serie di passi falsi che hanno provocato una rara manifestazione di dissenso da parte di cardinali esasperati». Insomma un’impietosa raffigurazione di «un Pontefice che sta guidando la Chiesa e i suoi 1,2 miliardi di fedeli come un monarca, separato dal mondo che sta fuori dalla finestre del suo palazzo, aiutato solo da consiglieri leali ma inetti». Perciò, «la gente si sente disorientata e la sensazione condivisa da tradizionalisti e riformisti è che al timone non ci sia nessuno». E mentre la Santa Sede apre un’indagine sugli stili di vita delle 59 mila suore americane («quelle impegnate nell’apostolato, non le religiose di clausura») e una delegazione pontificia visiterà oltre 400 conventi, Benedetto XVI è tornato sull’attuale situazione ecclesiale. Appena tre giorni fa il Papa si era lamentato delle «polemiche distruttive e l’arroganza intellettuale» che affliggono la Chiesa, e ieri, all’Angelus, ha riaffermato con forza il «primato di Pietro» invitando i fedeli a non cedere ai «turbamenti e alle tempeste», e a mantenersi «fedeli all’unità», «nell’amore reciproco». Da piazza San Pietro è partito un richiamo per l’intera Chiesa cattolica affinché «ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva». E vegliare perché ciò avvenga tocca al Papa. Un «alto compito» nel quale Joseph Ratzinger chiede di essere «accompagnato» dalle preghiere dei fedeli. Lo «schiaffo» del «Sunday Times» è l’ultimo di una lunga serie di attacchi. Il caso Williamson, il vescovo negazionista graziato dal Pontefice, ha scatenato una bufera internazionale, con le proteste del Gran rabbinato di Gerusalemme e del governo israeliano, la richiesta di chiarimenti (senza precedenti) del cancelliere tedesco Angela Merkel, l’appello al Pontefice di 50 membri cattolici del Congresso Usa, le critiche del presidente francese Sarkozy («E’ inammissibile, increscioso e choccante che nel XXI secolo si possa negare la Shoah»). Fino alla nota della Segreteria di Stato che ha imposto a Williamson di ritrattare le sue dichiarazioni negazioniste sulla Shoah «per essere ammesso a funzioni episcopali nella Chiesa». Due settimane fa anche il «Financial Times» ha preso di mira Benedetto XVI definendolo «un rottweiler di Dio maltrattato» e descrivendolo come «un Papa timido e isolato, sepolto dalle sue letture e scritture, vulnerabile alle manipolazioni». Un Papa che «potenzialmente può essere intimorito» e che «per sua stessa ammissione, non presta mai attenzione alle critiche». Intanto la sollevazione della Conferenza episcopale austriaca ha costretto il Vaticano a rimangiarsi la nomina a Linz dell’ultraconservatore Wagner, secondo cui i gay «vanno guariti», l’uragano Katrina è stato il «castigo di Dio per le cliniche abortiste di New Orleans» e i libri di Harry Potter sono «satanisti e occultisti». Un quadro allarmante dovuto alla «percezione generale» di questo pontificato più che alle singole decisioni di Benedetto XVI, secondo Francesco Margiotta Broglio, studioso di relazioni tra Stato e Chiesa. «L’odierno governo della Chiesa difetta nel far comprendere il proprio operato all’esterno dei sacri palazzi», osserva Margiotta Broglio. E per risalire a un pontificato così sotto scacco, occorre risalire «alle durissime campagne giornalistiche del ’49 contro Pio XII per la scomunica dei comunisti, i comitati civici e le reazioni alle difficili scelte politiche del Papa durante la guerra fredda». I mass media anglosassoni, aggiunge Margiotta Broglio, «sono tradizionalmente severi con il capo della Chiesa cattolica» e «neppure Paolo VI aveva doti comunicative». Karol Wojtyla, invece, «era un grande comunicatore e curargli l’ufficio stampa era un gioco da ragazzi» perché «anche quando diceva cose discutibili lo faceva sempre nel modo giusto e otteneva unanime consenso». Però «la preparazione e il livello di Ratzinger sono indiscutibili». (La Stampa)

Voodoo.


Anna.

Il grande scippo.